Il mio SI al referendum costituzionale

In queste settimane si è accesa la luce sul prossimo referendum relativo alla riduzione del numero dei parlamentari. Nutro profondo rispetto per ogni posizione, a maggior ragione quando si tratta di mettere mano alla Costituzione. I Padri costituenti hanno sempre pensato alla decisione popolare e democratica tramite il referendum come strumento di controbilanciamento per ogni determinazione finale riguardante la nostra Carta, anche nel caso di unanimità in Parlamento.
Come purtroppo è inevitabile una parte del dibattito si riduce ad argomentazioni “di pancia” che, se pur legittime, non ci aiutano fino in fondo a capire in che maniera questo referendum possa risultare importante per il futuro del Paese.

Voglio esprimere il mio Si convinto alla riduzione del numero dei parlamentari, contribuendo al dibattito con la mia testimonianza diretta di esperienza quasi decennale nei parlamenti (europeo e italiano). Per 7 anni ho lavorato infatti a fianco di parlamentari e da 2 anni svolgo in prima persona questo importante ruolo, avendo un osservatorio privilegiato dell’attività dentro le Istituzioni: ho riscontrato una realtà italiana in cui una porzione significativa dei parlamentari non svolge una concreta attività istituzionale né dal punto di vista legislativo né dal punto di vista territoriale. Mi spiace dirlo ma già oggi il Paese opera con un numero ridotto di parlamentari.

Non si tratta di essere presenti in Aula. Pur escludendo alcuni casi imbarazzanti di assenteisti cronici, in media i parlamentari hanno più del 70% di presenze, anche perché un certo numero di assenze comporta la decurtazione della diaria. Le presenze, così come il numero degli atti parlamentari (emendamenti, interrogazioni, interpellanze, etc.), ci dicono ben poco su come viene portato avanti questo delicato ruolo. Quello che emerge con evidenza dalla mia esperienza diretta di analisi e conoscenza dell’attività dei parlamentari di tutti gli schieramenti politici è che purtroppo ad oggi si tratta di uno dei ruoli in cui, potenzialmente, si può prendere un lauto stipendio pubblico in assenza di concrete responsabilità.
Questo svilimento si è verificato, a mio modesto modo di vedere, per alcuni motivi collegati tra loro, il primo dei quali è che facendo parte di un consesso molto numeroso c’è una significativa deresponsabilizzazione e una difficoltà da parte dei cittadini e dell’opinione pubblica di individuare i parlamentari che non svolgono adeguatamente il loro ruolo al servizio del Paese che, lo ricordo ogni giorno a me stesso, non è né quello del pigia-bottoni, né quello dell’influencer o dell’opinionista (televisivo e social).
In parallelo le riforme elettorali degli ultimi 20 anni hanno lasciato alle segreterie dei partiti la facoltà di scegliere le persone da candidare, generando una distanza spesso siderale tra i parlamentari e i rispettivi territori di elezione.

Sono convinto che con la riduzione del numero dei parlamentari le forze politiche si troverebbero di fronte ad una necessità: selezionare con maggiore cura le persone da candidare, consapevoli che i candidati sarebbero maggiormente riconoscibili dalle comunità di riferimento. Questo contribuirebbe anche ad una maggiore responsabilizzazione da parte del parlamentare e ad una più elevata attenzione pubblica nei confronti del suo operato.
Con un pizzico di orgoglio posso affermare che il Movimento 5 stelle ha posto sul tavolo della riforma elettorale nazionale l’introduzione delle preferenze che completerebbe quel rafforzamento delle responsabilità di cui il Paese ha bisogno: responsabilità delle forze politiche nello scegliere i candidati, responsabilità dei parlamentari rispetto al proprio operato e responsabilità dei cittadini nello scegliere e nel controllare le persone da mandare a Roma.
La riduzione del numero di parlamentari apre la via a questo nuovo patto di reciproca responsabilità tra politica e Paese. Questo percorso è in fieri grazie alla riduzione del numero dei parlamentari e prevede ulteriori e conseguenti riforme nell’ottica di restituire finalmente centralità al Parlamento: legge elettorale, revisione dei regolamenti di Camera e Senato, ulteriori accorgimenti costituzionali.

Se la riduzione del numero dei parlamentari dovesse invece essere bocciata dai cittadini sono convinto che alla politica passerebbe un messaggio chiaro: il Parlamento italiano e il suo modo di operare e di essere responsabilizzato e selezionato vanno bene così, una legittimazione democratica ad uno status quo che oggi svilisce questa fondamentale Istituzione.
Voglio aggiungere anche qualche considerazione sulle principali argomentazioni che ho ascoltato a sostegno del NO.

Un primo pensiero intendo rivolgerlo a quei cittadini che esprimeranno il proprio NO alla riduzione del numero di parlamentari in quanto misura “populista”, intrisa di “antipolitica” e “antiparlamentarismo” del Movimento 5 stelle. Ritengo parte delle dinamiche democratiche che vi sia una porzione della popolazione in forte contrapposizione con la forza politica alla quale appartengo. Ma credo che questi cittadini facciano una valutazione errata attribuendo al Movimento l’idea della riduzione del numero dei parlamentari. Dalla Commissione bicamerale “Bozzi” di inizio anni ’80, a quella presieduta da Nilde Iotti un decennio dopo, passando dalla riforma di Berlusconi del 2006 a quella del PD nel 2016, tutte le forze politiche da circa 40 anni a questa parte hanno promosso la necessità di questo ridimensionamento del numero di componenti del Parlamento in una logica di rilancio dell’Istituzione. Senza dimenticare che tutte le forze politiche hanno votato a favore nell’ultima votazione dello scorso settembre.
Per cui chi vota NO affermando che si tratti di “antipolitica” verosimilmente non intende cercare una argomentazione valida per opporsi a questa riforma, gli è sufficiente andare contro al Movimento. Non condivido ma potrei comprenderlo se non stessimo affrontando un voto su una riforma costituzionale.

Riconosco un’altra argomentazione tra chi promuove il NO, vale a dire il rischio di una riduzione della rappresentanza nelle Istituzioni. Propongo un paradosso, pregando tutti di prenderlo come tale: se dovessimo esasperare questa convinzione, al fine di garantire massimo e adeguato pluralismo e rappresentatività del Parlamento, dovremmo promuovere un’azione di aumento del numero di deputati e senatori. È evidente che bisogna trovare un equilibrio numerico che sia ragionevole. Non credo esista un numero perfetto in termini di efficacia ed efficienza dell’Istituzione o una composizione quantitativa nella quale tutti possiamo riconoscerci. Abbiamo però due elementi fattuali ai quali possiamo ancorare le nostre considerazioni: lo status quo in Italia coi suoi 945 parlamentari e il numero di abitanti rappresentati da ciascun parlamentare nelle democrazie ritenute più avanzate, utile a fare comparazioni.
Essendo quest’ultimo dato frutto di una divisione, è fisiologico che ciascuno utilizzi il denominatore che serve a sostenere l’idea che preferisce. Io ritengo convincente l’analisi proposta dal Centro studi “Cattaneo” – che non può definirsi uno strumento della propaganda per il “SI” – secondo il quale si devono considerare nel calcolo tutti i rappresentanti eletti direttamente, che siano a tempo pieno e che abbiano identiche e piene funzioni legislative (ad esempio un deputato e un senatore). Questa analisi ci indica che ad oggi, primi al mondo, abbiamo 16,1 parlamentari per milione di abitanti e che con l’approvazione della riforma ci allineeremmo alle altre realtà europee con 10,3 parlamentari per milione di abitanti.

Altra considerazione frequente di chi spinge il NO è quella che i Padri costituenti ci hanno indicato un numero e noi dobbiamo mantenerlo tale. Ritengo utile riflettere sul fatto che un parlamentare negli anni ’50-’60 doveva materialmente parlare con ogni singolo cittadino, girando territori spesso tra loro non collegati da infrastrutture minime e con una popolazione scarsamente alfabetizzata. Inoltre non esistevano altri consessi di rappresentanza popolare che sono stati previsti con l’istituzione delle Regioni e del Parlamento europeo e che hanno generato il connesso trasferimento a queste realtà di ampie porzioni di potere legislativo inizialmente attribuite al Parlamento nazionale.

Ciascuno può dare maggiore o minore peso ai sopracitati elementi fattuali ma credo che siano infondate le preoccupazioni di un’emergenza democratica collegate all’eventuale vittoria del SI alla riduzione.

Un breve passaggio merita anche l’argomentazione secondo la quale in termini di risparmio di risorse pubbliche non valga la pena ridurre i parlamentari, rappresentando che si tratta di un risparmio di qualche caramella al giorno. Il gioco comunicativo può risultare efficace ma è evidente che qualsiasi importo diviso per 60 milioni di cittadini può ridursi a pochi euro pro capite. I soldi pubblici sono preziosi ma in ogni caso alla base di questa riforma non vi è il tema del risparmio di risorse.
Analoga argomentazione è quella secondo la quale invece di ridurre il numero si poteva ridurre lo stipendio dei parlamentari. Una cosa non esclude l’altra: noi del Movimento 5 stelle da sempre a titolo volontario restituiamo una parte dello stipendio allo Stato ai cittadini e aspettiamo che le altre forze politiche votino la nostra proposta per ridurre le indennità ai parlamentari. In ogni caso questa argomentazione sarebbe ragionevole se il tema cardine della riduzione dei parlamentari fosse il risparmio.
Ma come ho già chiarito non è così.

Ciascuno di noi ha il diritto di scegliere e ha il dovere di farlo in maniera consapevole.